E' cosi marcata....
E’ così marcata la differenza tra il trialer e l’onesto setter cacciatore.
Giorni fa di discutendo di cani, prove, e caccia cacciata, ho avuto la fortuna di ascoltare un tale, esperto cinofilo, a dir suo …, ed assiduo frequentatore dei più importanti palcoscenici della cinofilia agonistica, che rimproverava i frequentatori del terreno libero, per l’inutilità del loro operato, inutilità si intende ai fini cinotecnici e del miglioramento della specie canina.
La diatriba è sempre la stessa: Cane da caccia, o da prove!
Quel giorno quel tale mi aveva quasi convinto, ai miei occhi, in quella circostanza UBI MAIOR MINOR CESSAT, ma oggi in questo freddo pomeriggio, davanti ad una ferma della Bia su di una astuta beccaccia, non posso fare a meno di dissentire, e di rimproverarmi per l’inerzia con la quale ho preso parte alla discussione.
Quella sera, i soggetti in questione sono stati i codafrangiati, e la domanda provocatrice è: E’ così marcata la differenza tra il trialer e l’onesto setter cacciatore?
Dipende sicuramente dai punti di vista, e dal modo di interpretare l’Ars Venandi, partiamo dal setter, ma questo discorso può valere per tutte le razze.
Oggi il setter costituisce in Italia la razza maggiormente allevata, e maggiormente utilizzata nei campi da prova, e nella caccia cacciata, le sue caratteristiche peculiari sono ben fisse geneticamente sia sotto un profilo morfologico, che funzionale, in media, penso si possa affermare che l’allevamento italiano vanta la miglior rappresentazione dello standard di razza; si tenga presenta che lo standard è un’effimera rappresentazione della realtà a cui bisogna senz’altro anelare, ma che è da considerarsi solo come la linea guida e non come la verità assoluta, altrimenti non si spiega come due soggetti diversi nella psiche, nella morfologia, e nell’animo possano aver raggiunto in prova gli stessi risultati, ed un esempio potrebbe essere costituito da due grandi trialer degli ultimi anni: Negus e Dino D’Ozieri. Il primo rappresentante indiscusso della quint’essenza della potenza e dell’avidità, in una sola parola Trialer; il secondo caratterizzato sicuramente dal grande animo, ma più conosciuto per il suo modo inconfondibile di pettinare il terreno con falcate radenti e morbide. Entrambi hanno trionfato nel Campionato Europeo Setters, entrambi hanno i titoli per essere proclamati Trialer, o lo sono già, è evidente che entrambi rappresentano in toto le caratteristiche peculiari della razza. Ma quale dei due è IL SETTER! Forse tutti e due? Forse nessuno dei due?
Lo standard afferma che il setter affronta il terreno con galoppo impetuoso, meno del pointer, con grandi aperture, ma con movimento radente e morbido… in prossimità del selvatico il suo incedere diventa cauto e prudente assumendo più le sembianze di un felino etc. … ma parla anche di occhi spiritati e di una bramosia nella spasmodica ricerca del selvatico. Così … sono entrambi setter!
E i nostri beniamini da caccia?
Oggi la selvaggina, quella vera, scarseggia, i nostri setter dopo aver trascorso qualche ora in un lugubre portabagagli, qualche volta, quando sono fortunati, accucciati in una misera gabbia di vetroresina, si trovano sciolti in un campo, o in un bosco dove, dopo qualche ora (a volte un’intera giornata) di faticosa ricerca, può capitare che un selvatico sia agganciato, sperando che non sia un merlaccio o cose del genere. Eppure questi soggetti sono sempre lì pronti a ripartire ad affrontare il torrido caldo estivo, o la neve invernale, e quando il selvatico, quello buono, è presente, se il setter è SETTER, si comporta da Cacit, ma di quelli che valgono d’avvero.
Vorrei chiedere a quel tale che snobba la caccia cacciata, quanto vale un incontro vero dopo ore di faticoso lavoro, se quest’ultimo è fatto secondo tutti i canoni?
Portiamoli i blasonati campioni in una stoppia su quaglie selvatiche, o su di un vecchio maschio variopinto, portiamoli nel bosco sulla scaltra regina, sono sicuro che non sfigureranno ma qualche compromesso dovranno pur sempre accettarlo, dovranno pur ridurre la velocità, dovranno pur fare i conti con la sete, con le piaghe ai cuscinetti, con le spine, ma soprattutto con un selvatico che non accetta compromessi, che non consente tante confidenze, che approfitta del più piccolo errore per cacciare la manina sotto l’ala e salutarti sorridendo, mentre imprechi e pensi che il tuo campione questa volta è stato un emerito brocco.
La cinofilia agonistica è funzionale alla caccia, e non viceversa, le prove hanno il compito di rendere evidente il soggetto che maggiormente può essere utilizzato in riproduzione, affinché ci sia un miglioramento della specie. Compito dei giudici dovrebbe essere quello di giudicare con maggiore lungimiranza (leggi severità) , non per penalizzare gli addetti ai lavori, ai quali va il mio plauso per l’attività svolta, ma per dare un significato alle prove stesse.
Le vittorie sono fini a se stesse, se ad esse non si dà un valore che va oltre la coppa o il cartellino, certo dietro il mondo cinofilo una macchina economica percorre la sua strada, ma bisogna sempre utilizzare una benzina ecologica per evitare che inquini un mondo fatto di tradizioni, poesie e sensazioni.
Di sicuro noi utilizzatori, non sempre agiamo con onestà intellettuale ed i compromessi cui scendiamo vanno ben oltre i limiti consentiti: il galoppo? Basti che corra; la ferma? Basti che non involi il selvatico; la cerca? Se ci sono molti selvatici che stia sotto, se ce ne sono pochi o nessuno, vada ma non troppo. Non parliamo poi delle fasi di dettaglio, dei mancati consensi, del rimorchio, e di tanti altri problemi che possono caratterizzare il lavoro del cane. Fuori al Bar o dinanzi all’ingresso del Circolo “il cane mio è un campione” salvo poi verificare la modestia del suo operato in campagna. La selezione è una scienza e come tale va trattata con le pinze, prima sul terreno di caccia, poi sui campi da prove; il materiale è a mio avviso in abbondanza, basta accontentarsi meno ed essere più spregiudicati.
Non esiste forse tanta differenza tra il cane da prova e quello cacciatore, a meno che non si voglia utilizzare a caccia l’ inutilizzabile in prova, e viceversa. Poi qualcuno dirà, si, il mio cane scoda, o commette altri piccoli peccati veniali, per la cinofilia agonistica è uno scarto, ma io ci vado a caccia con soddisfazione, beh, a quel punto sposterei la differenza tra l’uomo cinotecnico, e l’uomo cacciatore, l’uno non ha nulla da invidiare all’altro, ma senz’altro la funzione svolta da ciascuno è diversa, sarebbe interessante assistere ad una fusione tra le due tipologie, ma forse il Mondo è bello perché vario.
Sta di fatto che il cane da ferma ha origini abbastanza remote, ed è nato per una finalità ben precisa: il reperimento del selvatico. L’intervento dell’uomo con il suo progresso e il suo spirito di perfezionismo ha voluto creare una distinzione dando origine al Kurzhaar, al Bracco, al Pointer, al Breton, allo Spinone, al Setter, e a tutte le altre razze da ferma esistenti e riconosciute, ognuna con le sue caratteristiche distintive e le sue peculiarità; sono dell’opinione che quello scopo è andato scemando, oggi sono pochi quelli che pagano il porto d’armi con il solo spirito di ammazzare selvaggina, preferisco pensare che la caccia rappresenti una manifestazione della cultura umana, una vera e propria arte, con il suo senso estetico, per cui personalmente quando mi porto in campagna con un cane, voglio che mi dimostri con le sue manifestazioni a quale razza appartiene, e questo può accadere solo quando gli aspetti caratteristici delle medesime siano univoche ed oggettive per tutti. Come, del resto, probabilmente lo sono.